SOGNI DI CUOIO (ITALIANO)

sinossi breve   

L’avventura di ventitré calciatori sudamericani arrivati in Italia pochi mesi prima del drammatico crac argentino, sognando il successo  nel paese dei loro  avi. Ad allenarli sarà il grande campione argentino Mario Kempes. Un film sui sogni che muovono le esistenze, un documento sugli aspetti più nascosti del mondo sportivo, ma sopratutto una sofferta vicenda di emigrazione di ritorno.   

la storia   

Estate 2001. Una ventina di  giovani calciatori argentini e uruguayani arrivano in  Italia: i migliori entreranno a far parte di una squadra di serie C2, il Fiorenzuola, senza alcun problema di nazionalità o passaporto perché discendono tutti da italiani. L’innovativo progetto “ha valenze quasi letterarie, ricordando i racconti di Osvaldo Soriano” sostiene orgoglioso il presidente del Brera Calcio, Alessandro Aleotti. È stato lui, insieme alla società Global Sporting Footbal, a ideare ed organizzare quello che in realtà dovrebbe diventare soprattutto un business calcistico. Ad allenare il gruppo dei sudamericani viene chiamato Mario  Kempes, campione  argentino, autore dei due goal che nel 1978 portarono la sua squadra alla vittoria del mondiale, divenuto celebre anche per essersi rifiutato  di stringere  la mano  ai generali che assistevano all’incontro. È una grande occasione per venti ragazzi che hanno lasciato famiglie, affetti,  lavoro  convinti  di  firmare un redditizio contratto e iniziare subito a giocare in Italia. Il film percorre in tempo reale l’altalenante dipanarsi della vicenda catturando nelle  testimonianze dei responsabili del progetto, del procuratore, dei tecnici, della gente, dello stesso Kempes, ma soprattutto nel quotidiano dei ragazzi, aspetti inquietanti annidati nel patinato e complesso mondo del pallone. Tra promesse e speranze, entusiasmi e ambiguità, pericolose omissioni e attese estenuanti, la romantica vicenda di un gruppo di ragazzi, che per realizzare il sogno della loro vita sorvolano l’oceano percorrendo a ritroso il tragitto già percorso dagli avi, annega in un dedalo incomprensibile di prosaicità, nodi burocratici, storie di fideiussioni,  inconfessati campanilismi. Un documento sul calcio, su quegli aspetti che dagli spalti di uno stadio è difficile cogliere persino per lo sportivo più attento, ma anche un film sull’emigrazione di ritorno, sulla circolarità della Storia, sui quegli esseri umani che di generazione in generazione, in una sorta di moto perpetuo, continuano ad attraversare la terra in cerca di un destino  migliore.

note di regia   

Riprese in digitale; un approccio quasi giornalistico con interviste a calciatori, tecnici, organizzatori, testimoni; due piccolissime troupe, operative in tempi diversi, per registrare l’evolversi di un originale progetto calcistico  che  presentava  i requisiti giusti per trasformarsi in  affare economico e sportivo. In modo imprevedibile, come può succedere  quando si ha a che fare con l’oggettività  della materia documentaria sfuggente a qualsiasi imbrigliamento,  gli eventi prendevano una loro direzione che li allontanava dal finale previsto. Tutto si smontava per una serie di intricati motivi -  richieste maggiorate di denaro da parte della società in via di cessione,  crescenti pretese di garanzie economiche, cavilli burocratici, clausole sulla data di chiusura del contratto e un sotteso, diffuso campanilismo nei confronti dei calciatori “usurpatori”.  La giostra luccicante del calcio che fa sognare chi vi sale e chi la osserva girare  in tutto il suo sfarzo, mostrava ancora una volta  quanto poco fosse  rassicurante l’ingranaggio che la  muove.  Così, a fine estate 2001, il materiale filmico raccolto sembrava suggerire, come unica possibilità narrativa,  la cronaca di un clamoroso flop sportivo dal quale non un solo protagonista, in un senso o nell’altro, usciva positivamente. Un’analisi più attenta,  nuove interviste ai testimoni del fatto, ulteriori informazioni sui retroscena dell’accaduto  portavano alla luce la vicenda umana di questo gruppo di giovani calciatori, molti  appartenenti a squadre di serie A e B argentine e uruguayane,  tutti  già in possesso di  nazionalità italiana avendola  ereditata per sangue. Non è difficile immaginare  cosa li avesse spinti a lasciare una carriera già avviata, affetti, casa, famiglia pur  senza  uno straccio di contratto, una sola certezza. Avrà certo contribuito  l’attrattiva che l’Italia esercita, su chi vive aldilà dell’oceano, come  mitico eldorado del calcio mondiale;  il miraggio del successo come rivela il centrocampista  Daniel che “ha un sogno molto grande”, quello di emulare la carriera dello zio  Juan Alberto  Schiaffino, giocatore della nazionale uruguayana 1950 e della nazionale italiana del 1954; le affinità con la gente italiana nel modo di vivere e pensare, come  sottolinea il mediano Gastón; il prestigio di quello che sarà l’allenatore della neo-squadra sudamericana, Mario Kempes;  la  prospettiva di  guadagnare un giorno come El Chino Recoba, il calciatore più pagato del momento che - racconta l’uruguayano Pedro - era suo amico prima di approdare in Italia Recenti statistiche ci informano che non esiste una sola  Italia, perché 58 milioni di italiani, o discendenti da italiani  vivono in altre parti del mondo. Di questi, oltre  536.000 sono in Argentina, quasi 52000 in Uruguay. Buenos Aires può essere considerata la capitale di questa seconda Italia, dove pure chi  non ha più passaporto italiano cerca di  mantenere contatti con la patria degli avi, se non direttamente almeno attraverso le trasmissioni TV di Rai International. In realtà, “l’emigrazione di ritorno” è un fenomeno complesso  che non si spiega solo attraverso saggi, articoli, trattati. Nella riflessione di Oscar, nello sguardo di Guillerme, nella risata di Pedro,  nel gesto ironico di Leandro, nella dignità con cui Gastón dissimula lo sconforto, è forse possibile cogliere qualcosa che tabelle e numeri non riescono ad interpretare, qualcosa  di profondo che a volte compare anche nei visi antichi che si affacciano brevemente tra le immagini di repertorio, montate in parallelo. Storie di calcio. Storie di migrazioni. Storie di esseri umani. Storie di chi, a volte inconsapevole, cerca una rivincita nella terra che ha già respinto i suoi avi. Storie di sogni, a volte ingannevoli, ma così necessari  per andare avanti e credere che un giorno tutto potrà essere diverso.     

Elisabetta Pandimiglio e César Meneghetti